Il menu tipico e le pietanze del nostro locale sono il risultato di lunghi anni di ricerca effettuata con l'aiuto dei nostri nonni, che sono stati cultori e custodi delle tradizioni salentine. Questa indagine ci ha portato a scavare nell'animo di un popolo semplice, che ha inventato gli usi ed i costumi gastronomici antichi, spesso influenzati dai popoli che hanno occupato il Salento. Greca infatti è la frisa, ricordata anche da Virgilio (le 'mense' portate da Enea e dai suoi compagni quando sbarcarono a Porto Badisco). Greche sono anche le cuddhure, le puddhiche ed il calò. Gli gnummareddhi, la licurdia e lo 'mbotu sono di provenienza romana; il sartù ed il ragù sono normanni; la cupeta, il sorbetto, la bottarga, i dolcetti di pasta di mandorla sono di provenienza araba. La cucina tradizionale salentina è composta da ingredienti poveri, ma ricchi di fantasia, preparata con ciò che si produce dalla terra: dalle erbe spontanee, cotte in tanti modi, ai legumi, tipico pasto dei poveri, con cottura alla pignata accanto al fuoco, che serviva anche per riscaldare le persone e l'abitazione. Povera e risparmiosa è la farina integrale, usata per il pane cotto al forno di pietra, per impastare le lavane di sagne 'ncannulate, i minchiareddhi, le ricchiteddhe, le pucce ed i pizzi. Protagonista è l'olio d'oliva, frutto dei millenari ulivi, alberi che spesso hanno l'aspetto di sculture naturali. Le verdure coltivate nel Salento hanno un sapore unico al mondo, si mangiano spesso crude 'subbrataula', accompagnate da pecorino fresco, casu ricotta, ricotta marzotica. La carne era poco usata, poichè costosa, ma si usavano anche i ritagli, le frattaglie e le interiora - non si sprecava niente! Le polpette della nonna venivano impastate con poca carne, molto formaggio, molto pane e uova. Il pesce azzurro meno costoso era preparato in svariati modi: a scapece, racanatu, con molto pane, per saziare e per aumentare le porzioni. I pesci di prima qualità, quindi più costosi, erano poco usati nelle ricette antiche, ad eccezione delle triglie con i baffi di Porto Cesareo., che venivano arrostite alla brace delle frunze di olivo. I dolci, pochi ma squisiti: come i tradizionali purceddhuzzi, le carteddhate al miele o al cotto, preparati nel periodo natalizio, la cupeta preparata per la festa di San Giorgio, la pecureddha di pasta di mandorla per Pasqua. I progenitori salentini preparavano anche i rosoli, gli elisir ed i ratafià, da offrire agli ospiti alle feste, che in realtà erano pochissime: Natale, Pasqua, festa patronale, matrimoni e battesimi. Il nostro passato carico di sapori, colori, profumi, tradizioni e civiltà contadina, che abbiamo voluto scrollarci di dosso per una modernità che non ci soddisfa e non ci gratifica, torna nostalgicamente nei nostri cuori, con tutta la forza della nostra terra viva e sensuale, a volte eccessiva, il più delle volte magica.
il vostro Danilo.
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